Un'azione militare di geometrica potenza
L'azione di Fani con la sua improvvisa e feroce precisione  lascia il paese sgomento. Possibile che un gruppo di uomini delle BR, fino ad  allora impegnati in azioni contro persone inermi, abbia potuto eseguire un  azione di un livello militare assolutamente impensabile?
 L'operazione compiuta in Via Fani, sull'onda dell'emozione  suscitata, viene subito definita “un qualcosa di eccezionale” che i brigatisti  non sono in grado di eseguire.
 Sono gli stessi magistrati inquirenti che accreditano per  primi questa tesi. A poche ore dall’agguato, il capo della Procura di Roma, De  Matteo, parlando della capacità dei terroristi, dichiara:
  Un delitto così perfetto, preparato al minuto, preparato  con le chiusure telefoniche, che mi pare non possano essere una coincidenza  occasionale. E’ un delitto che è stato preparato lungamente, eseguito con  l’abilità di persone che sanno sparare da vicino, sanno sparare da lontano. Quindi  è una cosa di una organizzazione perfetta che fa pensare appunto ad agenti dei  servizi segreti.
  I giornali, nei giorni successivi, con ricostruzioni  particolareggiate, sul numero e le capacità dei killer di via Fani, alimentano  i dubbi sull'autenticità dell'azione brigatista.
 Paolo Gambescia sull'Unità del 18 marzo scrive:
   I periti, dopo un primo esame dei proiettili, pensano di  poter affermare che a sparare è stata una Nagant sicuramente, e dei mitra di  fabbricazione cecoslovacca. Armi, sì reperibili sul mercato nero, ma ad alto  livello per intenderci quello al quale si riforniscono le bande criminali  internazionali, la mafia o, appunto, uomini del terrorismo senza frontiere.  Armi che non si trovano facilmente e non solo perché costano care. (...)
    Lo specializzazione di almeno alcuni dei partecipanti  all'azione, fredda, da professionisti (...)
    i primi, che hanno attaccato la scorta che si trovava  sulla seconda auto, hanno sparato all'impazzata, i secondi hanno dovuto agire  scientificamente perché dovevano uccidere gli altri due uomini e non sbagliare,  cioè non colpire l'uomo politico. Alcuni colpi precisissimi dimostrerebbero  un'azione di tipo militare (…) un commando di 10, 12 persone, sostengono gli  esperti dell'antiguerriglia, vogliono almeno altri venti supporter. Anzi  qualcuno ha tentato, penna e carta alla mano, di fare un calcolo più preciso,  non meno di trentaquattro, quaranta persone devono aver partecipato alle varie  fasi dell'agguato, ai controlli della zona, al reperimento delle auto.

Il titolo dell'articolo di Paolo Gambescia apparso su L'Unita del 18 marzo 1978
Dello stesso tenore è Fabrizio Carbone che su La Stampa  dello stesso giorno afferma:
   Si fa strada allora la pista di un commando di super  specialisti che con le formazioni del terrorismo nostrano hanno poco a che fare  o forse solo contatti (...)
  Dodici persone erano a via Mario Fani per portare a  termine l'agguato criminale ma altrettante dovevano essere state dislocate in  un punto del percorso alternativo (...) Decisa l'operazione i terroristi  dovevano avere due commando di uguale forza per portare a termine il  sequestro. A meno che non avessero saputo in anticipo l'itinerario scelto per il  giorno 16 marzo. Due commando significano allora 24 persone e almeno sei  macchine (tre e tre) per la fuga.
 Nata sull'emozione del momento, l'idea che l’attacco  brigatista fosse un modello di perfezione militare, eseguibile solo da  personale altamente specializzato, e che i brigatisti, con le loro scarse  capacità militari, non fossero in grado di portare a termine da soli un’azione  tanto complessa, è stata accreditata nell'opinione pubblica attraverso tutta  una serie di pubblicazioni che ripetono questo concetto.
 Per esempio, Giorgio Galli, nel 1986, ad otto anni dalla  strage, nel suo libro “Il partito armato”, ripropone l'idea di un gruppo di  specialisti:
   Un’operazione di tale precisione e arditezza, che  risulterà subito decisamente incompatibile con la tipologia propria d'i alcuni  brigatisti, il rozzo Raffaele Fiore, capo colonna a Torino, già descritto da  Peci; Cristoforo Piancone, che per non aver usato il giubbotto antiproiettile  rimarrà ferito in un conflitto a fuoco, Prospero Gallinari, definito leader  militare che si lascerà catturare alquanto ingenuamente mentre tenta di  riparare un guasto alla propria auto. La fulminea sparatoria di via Fani così  verrà descritta in sede processuale: un lavoro militare d'altissima  specializzazione da manuale. Giorgio Galli, Il partito armato, (Milano,  Kaos Edizioni, 1993) pag.183
La versione dei terroristi: mitra inceppati ed effetto  sorpresa
  L'idea di terroristi non altamente preparati è stata in  seguito rafforzata proprio dalle dichiarazioni degli stessi brigatisti che  raccontano una storia assai diversa dalla “geometrica potenza” dell'agguato.
 L'azione di Via Fani è stata, secondo le loro testimonianze,  tutt'altro che perfetta. Solo la feroce determinazione dei terroristi, unita ad  una buona dose di fortuna, ne ha permesso la riuscita.
 Franco Bonisoli, in una lunga intervista al Corriere della  Sera, così descrive l'agguato:
   (…) mezz'ora prima dell'azione proprio nel tratto di via  Fani che continua oltre l'incrocio con via Stresa un auto non partiva e due  compagni dovettero spingerla per metterla in moto.
  Pochi minuti prima dell'azione un compagno si ricordò di  non aver ancora alzato il caricatore del mitra che teneva nella borsa e lo fece  con un movimento rapido li su luogo dell'appostamento. Iniziata l'azione un compagno  premette il grilletto ma si accorse di non aver ancora tolto la sicura.
  Poi in momenti diversi addirittura tutti e quattro i  mitra si incepparono e due compagni ad un certo punto ricorsero alla  pistole. Franco Bonisoli, Intervista di Giancarlo Perego, Corriere  delle Sera, 6/10/1985
  L'inceppamento di tutti i mitra del gruppo di fuoco viene  confermato dai diretti interessati ovvero oltre Bonisoli, anche da Morucci,  Fiore e Gallinari.
 Morucci, oltre che degli inceppamenti delle armi, racconta  anche di manovre sbagliate nell'allontanarsi da via Fani.
   Il piano originale prevedeva invece che la 128 blu  sarebbe dovuta essere la macchina di testa delle tre ed aprire la strada alla  132 (...). La perdita di tempo in via Fani ha fatto invece si che la 128 sia  stata l'ultima auto a lasciare il luogo. Valerio Morucci, Memoriale
  La parte della pubblicistica che sposa l'idea del complotto,  basandosi sul contrasto tra la presunta perfezione dell'azione e l'incapacità  professata dai brigatisti, dichiarando inattendibile il racconto dei  brigatisti, ha collocato in via Fani, la mattina del 16 marzo, accanto ai  brigatisti, i personaggi più diversi.
 Proviamo ad elencarli. Si è parlato dei terroristi tedeschi  della RAF; degli agenti dei servizi cecoslovacchi e russi; degli immancabili  agenti della CIA; dei più nuovi uomini di Gladio; di sicari della 'ndrangheta  calabrese; per finire con gli ufficiali dei carabinieri.
 Un elenco che dimostra come, senza nessuna prova  documentale, si sia trasformata via Fani in una specie di circo Barnum dove  sono assenti solo i nani e le ballerine
 Le risposte dei brigatisti, a questo tipo di obiezioni, sono  state spesso sarcastiche. Mario Moretti negli anni di sdegnato silenzio si  limitava ad affermare ironico:
   Il fatto è che non riescono a capacitarsi che quattro  operaiacci abbiano fatto tutto quel casino.
  Alfredo Bonavita in una sua deposizione in corte d’Assise  ha affermato:
   Avevamo quattro armi scassate, quattro persone di cui  qualcuno se la faceva pure sotto, abbiamo agito ed è andata bene... per cui  tutto questo favoleggiare sulle armi sofisticatissime, su questa strategia  internazionale delle Br cade un po’ nel ridicolo.
Brigate Rosse: un'organizzazione di incapaci?
  Ma chi ha eseguito l'azione di via Fani? Un commando di super  specialisti o semplici brigatisti con un addestramento militare approssimativo?
  Iniziamo dal concetto, più volte ribadito, che semplici  terroristi non fossero in grado di compiere un'azione complessa come quella di  via Fani.
 Il rapimento politico è da sempre uno dei mezzi maggiormente  usati dalle organizzazioni terroristiche.
 I precedenti rispetto al caso Moro sono numerosissimi. Basti  ricordare i rapimenti di diversi ambasciatori stranieri in Uruguay, Argentina e  Brasile, il sequestro del Ministro del Lavoro canadese e del presidente della  Confindustria tedesca.
  Ebbene, in nessuno di questi casi si è messa in discussione  la capacità militare dei terroristi. Ciò non è avvenuto neanche lì dove, la  presenza di una dittatura, e quindi di un apparato militar-poliziesco molto  sviluppato, rendeva sicuramente le azioni di più difficile esecuzione.
 I terroristi italiani sono invece considerati, unici al  mondo, degli incapaci. Eppure le Brigate Rosse hanno avuto una durata ed un  radicamento sul territorio sicuramente maggiore di molte altre organizzazioni  estere.
 Non si capisce perché, per esempio, la RAF tedesca sia  considerata molto più professionale rispetto alle Br. In ogni ricostruzione,  infatti, si fa cenno alla grande somiglianza tra la dinamica del rapimento  Schleyer e il rapimento Moro. Ebbene, se in Germania basta un gruppo  terroristico per compiere l’azione (non ci risulta che nessuno abbia messo in  dubbio l’identità dei terroristi), in Italia la stessa azione può essere  eseguita solo da uomini super addestrati. Evidentemente è la famigerata  efficienza tedesca a fare la differenza.

La scena del rapimento di Martin Schleyer avvenuto a Colonia il 5 settembre 1977. La tecnica del rapimento è molto simile a quella adottata dalle Br in via Fani
 
 Bisogna, inoltre notare che le Brigate rosse, oltre via  Fani, hanno compiuto decine di altre azioni, di cui sono stati identificati e  condannati in sede processuale quasi tutti gli esecutori. Non solo in nessun  caso è stato identificato un elemento estraneo all'organizzazione, ma nemmeno  l'opinione pubblica ha mai sollevato il minimo dubbio sull'autenticità delle  azioni.
Venendo allo specifico dell'azione di via Fani, non si può  non rilevare un uso schizofrenico che spesso si fa delle dichiarazione dei  brigatisti.
 Quando i terroristi affermano che in via Fani non ci sono  persone estranee alla Brigate Rosse li si bolla come inaffidabili, quando,  invece, raccontano della scarsa preparazione e dell'inceppamento delle armi gli  si presta la massima fede.
 Tra l'altro, secondo logica, se in Via Fani ci fossero stati  elementi estranei, i brigatisti avrebbero tutta la convenienza ad accreditarsi  come ben addestrati ed in grado di svolgere l'azione autonomamente e non  parlerebbero certo delle loro deficienze.
Un'azione tutt'altro che perfetta
  Se si passa ad analizzare la dinamica dell'agguato ci si  rende conto che l'azione è stata tutt’altro che fulminea e perfetta.
 Molti testimoni, sentiti i primi colpi, hanno il tempo di  dirigersi verso il luogo dell'agguato od affacciarsi alle finestre e vedere lo  svolgersi dell'azione.
  Diversi minuti, quindi, per eliminare degli uomini colti di  sorpresa, ignari del pericolo che stanno correndo. Un'azione rallentata da  diversi inconvenienti, primo fra tutti, l'inceppamento di tutti e quattro mitra  dei brigatisti.
 Relativamente alla presunta capacità balistica, bisogna  notare, che i brigatisti sparano da una distanza minima su dei bersagli  praticamente immobili, intrappolati nelle auto. Nonostante questo, permettono  all'agente Jozzino di uscire dall’auto e rispondere al fuoco.
L'effetto sorpresa e la feroce determinazione dei BR
  Quello che, presumibilmente, ha permesso alle Br di portare  a termine l'azione, non sono state le capacità militari ma lo studio logistico  e l'imprevedibilità dell'attacco. Del resto sull'importanza dell'effetto sorpresa c'è un'ampia  letteratura, a partire dalla azioni partigiane durante la seconda guerra  mondiale.
 Il Generale Corsini, Comandante Generale dell’Arma dei  Carabinieri e uno dei pochi, nei vertici militari di allora, non iscritto alla  P2, chiarisce bene le caratteristiche di questo tipo di agguato.
   La stampa e la televisione hanno creato, il mito di  questi uomini, fortissimi, bravissimi, eroici. Tanto è vero che appena fatto il  colpo in Via Fani fu subito detto che erano tedeschi perché in Italia quando  uno è efficiente è tedesco. Poi si è scoperto, che parlavano più o meno  cispadano. Fra l’altro anche quel famoso esempio, quel commento sulla  precisione del colpo avvenuto, nasceva dall’incompetenza di chi non sa che, se  uno vuol fare un’azione di sorpresa, al 99% gli riesce perché è ovvio che  studia l’obiettivo, gli itinerari i tempi; studia tutto e riesce. Io in guerra  nel secondo periodo comandavo un reparto ardito; facevo dei colpi di mano che  mi andavano abbastanza bene proprio perché li facevo di sorpresa. Quindi non  c’è neanche da ammirare troppo questa gente che sparando a mezzo metro di  distanza riesce a far fuori qualcuno. Audizione di Pietro Corsini,  CPM1, vol. III, pag.347
  Lo stesso Moretti, analizza freddamente le qualità militari  delle Brigate Rosse:
   La nostra decantata capacità e precisione militare è  sempre stata approssimativa. Non confondiamo capacità organizzativa e capacità  tecnico militare della guerriglia. Ti assicuro che i brigatisti non sono stati  dei grandi guerrieri. Sono stati formidabili organizzatori politici, militanti  comunisti capaci di un'autodisciplina che rasentava la follia ed è questo che  ci vuole per la lotta armata. Invece il nostro addestramento militare avrebbe  fatto ridere un caporale dell’esercito...Nelle Br non conosco tiratori scelti  tipo quelli dei film per intenderci. Ma non è questo che conta; conta il  tempismo, l’organizzazione, la sorpresa. Oltre naturalmente la motivazione  politica senza la quale nessuno alzerebbe un dito, il pericolo lo fermerebbe.  Si dice sempre che eravamo efficienti, efficientissimi e non si aggiunge che  correvamo rischi enormi.  Mario Moretti. Brigate rosse una storia  italiana (Milano, Anabasi, 1994) pag.119
La conclusioni della prima commissione Moro
  Quando il generale Corsini parla delle responsabilità della  stampa lo fa a ragion veduta. Basta sfogliare gli atti della prima commissione  Moro per accorgersi che alle conclusioni di Corsini erano giunti ben quattro  esperti. Nell’elaborato, allegato agli atti, dal titolo “Valutazioni sul grado  di organizzazione e di preparazione tecnico militare per la preparazione e  l’esecuzione e la gestione della strage di Via Fani,” si legge:
    I brigatisti si sono avvalsi dell’elemento sorpresa  che come ovvio pone in posizione di grande vantaggio l’aggressore diminuendo di  gran lunga la capacità difensiva dell’aggredito (…) per quanto concerne la  preparazione tecnico militare dei brigatisti partecipanti l’azione la si può  definire di livello medio, acquisibile con normali e non troppo frequenti  esercitazioni (…) l’azione è stata abbastanza agevole anche per individui  addestrati non in modo speciale
    (...) il lungo e minuzioso studio del piano, le attente  verifiche, una minuziosa attività di osservazione (…) con tali premesse il  commando non poteva non conseguire il suo progetto criminoso (…) l’agguato di  via Fani, se certamente non ha richiesto un addestramento tecnico militare  dottrinale e pratico particolare, è pur sempre il risultato di organizzazione  ed adeguata preparazione. In Vladimiro Satta, Odissea nel caso Moro,  Roma, Edup, 2003, pag 7
 La stessa Commissione Parlamentare d'inchiesta, prendendo  atto delle risultanze degli esperti, nella relazione finale scriveva:
  ...la diffusa convinzione secondo la quale l’impresa  criminale di Via Fani abbisognasse per la sua realizzazione dell’apporto di  professionisti e di particolare addestramento che solo scuole speciali  potrebbero fornire non trova riscontro. Relazione finale della  commissione di inchiesta parlamentare sull'uccisione si Aldo Moro.CPM1,  vol. I, pag.128
  Ebbene, in quasi tutta la pubblicistica sul “Caso Moro”, che  è posteriore ai lavori della Commissione, non è mai stata riportata nemmeno una  riga delle conclusioni degli esperti mentre si dedicano capitoli interi alle  ipotesi più fantasiose.