
  
La moto Honda e il motorino
 
Alessandro Marini è il testimone più famoso del caso Moro. E' contro il suo motorino che i brigatisti a bordo della Honda sparerebbero alcuni colpi di mitra. La sentenza del 1° processo Moro certifica la presenza della moto, i brigatisti, però, continuano a smentire con decisione la presenza di una moto nel commando. Gli accertamenti dell'ultima commissione Moro smentiscono le affermazioni di Marini relative agli spari contro il suo motorino
                  
                
                
                  Un  motorino all’incrocio
                Il 16 marzo 1978, come tutte le mattine, Alessandro Marini esce di  casa poco prima delle nove, sale a bordo del suo motorino e si dirige  verso l’ufficio. Non sa che tra pochi momenti assisterà all’azione  più cruenta e stupefacente del terrorismo italiano. Un’azione che  cambierà per sempre la sua vita.
                Arrivato all’incrocio tra Via Fani e Via Stresa, diligentemente  si ferma allo stop. Nel momento in cui sta per ripartire si scatena  l’inferno. Due auto poste sul lato sinistro di via Fani, a poche  decine di metri da lui, sono tempestate da raffiche di mitra esplose  da alcuni individui che sono apparsi improvvisamente. La sparatoria  dura un tempo interminabile durante il quale Marini resta  pietrificato al suo posto. 
                Quando la sparatoria è finita vede due uomini prelevare a forza  un passeggero da una delle due macchine oggetto dell’attacco e  caricarlo a forza su un’altra auto. 
                Velocemente i terroristi si dileguano, tra loro, Marini, vede  anche due personaggi a bordo di una moto che esplodono alcuni colpi  di mitra nella sua direzione.              
                La testimonianza di Marini
                Marini è il testimone più vicino al luogo dell'azione e  chiaramente il suo racconto è della massima importanza nel  ricostruire la dinamica dell’agguato. In tutti i verbali della  Digos, infatti, il suo nome è sempre citato al primo posto  nell’elenco dei testimoni. 
                Quindi, grazie al suo racconto e a quello degli altri testimoni  oculari è possibile ricostruire lo svolgimento dell’azione  brigatista. 
                Il racconto di Marini ha però una particolarità rispetto a  quello di tutti gli altri presenti in via Fani: è infatti l’unico  a parlare di una moto Honda.
                
                  (…) una Honda di grossa cilindrata di colore bleu, a bordo della  quale c'erano due individui, dei quali quello seduto sul sedile  posteriore, col passamontagna scuro ha esploso vari colpi di mitra  nella mia direzione, praticamente ad altezza d’uomo, perdendo  proprio nell’incrocio un caricatore che é finito per terra.(…)  Non escludo che i due individui a bordo della moto fossero gli stessi  sbucati fra le due macchine parcheggiate in via Mario Fani; infatti  uno dei due aveva il viso travisato dal passamontagna. Mi é  rimasto impresso però il conducente, un individuo sui 20 - 22 anni,  molto magro, con il viso lungo e con le guance scavate; infatti mi ha  richiamato l'immagine dell'attore Eduardo De Filippo; aveva i capelli  scuri di taglio normale. Testimonianza di Alessandro Marini,  17/03/1978, CPM1, vol. 30, pag.45 
                
                Nessuno degli altri numerosi testimoni, interrogati il 16 marzo,  presenti in via Fani, cita la moto Honda ed i suoi passeggeri.  L'unica conferma al racconto di Marini arriva soltanto il 5 Aprile,  quando l'agente di pubblica sicurezza Giovanni Intrevado si presenta  davanti al magistrato dichiarando di aver assistito all'agguato e di  essersi presentato «soltanto adesso perché sono rimasto scioccato  da tutto quello che ho visto ed anche perché ero impaurito non  essendo potuto intervenire nei fatti poiché la mia pistola si era  inceppata»
                Intrevado è il solo altro testimone che parla del passaggio della  moto Honda: 
                
                  Mentre io ancora stravolto uscivo dalla macchina e correvo verso  le tre macchine ferme, mi sfrecciò vicino una moto di grossa  cilindrata con due persone a bordo. Testimonianza di Giovanni  Intrevado, 05/04/1978, CPM1, vol. 41, pag. 414
                
                Lo stesso 5 aprile, il giudice Infelisi, oltre ad Intrevado,  risente Alessandro Marini che arricchisce con altri particolari la  sua testimonianza: 
                
                  In quel frangente mi accorsi di una moto Honda blu di grossa  cilindrata sulla quale vi erano due individui il primo dei quali con  il viso coperto da un passamontagna e quello dietro che teneva un  mitra di piccole dimensioni nella mano sinistra sparò nella mia  direzione tanto che un proiettile colpi il parabrezza del mio  motorino. Testimonianza di Alessandro Marini, 05/04/1978, CPM1, vol.  41, pag. 401
                
                Passano i mesi e le testimonianze di Marini si susseguono non  sempre, come vedremo oltre, coerenti tra loro. Si arriva così al  processo Moro uno, dove i magistrati, in mancanza di un confronto con  le dichiarazione dei brigatisti (è da ricordare che nessuno dei  partecipanti all’azione depose in dibattimento), non hanno  difficoltà a credere al racconto di Marini, tanto che gli imputati  vengo condannati anche per tentato omicidio: 
                
                  per aver in concorso tra loro e con altre persone da identificare  compiuto atti idonei e diretti in modo non equivoco a cagionare la  morte di Marini Alessandro esplodendogli contro più colpi di pistola  che attingevano il parabrezza del motoveicolo da lui condotto. Atti  giudiziari sentenza 1° Corte di Assise di Roma 24/1/1983, Moro uno e  bis riunificati, pag.24
                
                La sentenza quindi, basandosi solo sulla testimonianza di Marini,  non solo certifica la presenza “attiva” della moto Honda in via  Fani, ma afferma anche che dalla moto furono sparati dei colpi di  mitra (erroneamente nella sentenza si parla di colpi di pistola) e  che questi colpirono il parabrezza del motorino di Marini. 
                La verità sulla moto Honda sembra accertata in maniera  inconfutabile. 
              La moto Honda diventa un mistero
                Quando però, iniziano a parlare i brigatisti qualcosa incomincia  a non quadrare. Già dai primi racconti dei pentiti, che hanno  raccolto le confidenze dei partecipanti all'azione, della moto non  c'è traccia.
                Nel 1985 poi, al processo di appello, sia Valerio Morucci che  Adriana Faranda, nella loro ricostruzione dell’agguato di via Fani,  negano decisamente la presenza della moto.
                Nel famoso memoriale Morucci, un intero paragrafo è dedicato alla  moto per ribadire che Alessandro Marini si è sbagliato: 
                
                  Nessuna Honda o altra moto di questo tipo, o di qualsiasi altro  tipo, è stata impiegata nell'azione. Il teste Marini si è  sicuramente sbagliato. (Nessuna moto è peraltro passata per  l'incrocio fino a che non è partita l'ultima macchina, cioè la 128  blu, ultima dopo che già le altre due si erano allontanate. Una  motocicletta può anche essere passata successivamente, ma non era  delle Brigate rosse e non si capisce il motivo per cui i suoi  occupanti avrebbero dovuto sparare al Marini). Memoriale Morucci
                
                E Moretti, nel libro intervista di Carla Mosca e Rossana  Rossanda, ribadisce:
                
                  Può darsi che un testimone, suggestionato dal clamore  dell’avvenimento, riferisca in buona fede qualcosa che magari aveva  visto mezz’ora dopo oppure il giorno prima. Non lo so proprio. Di  sicuro noi non usiamo nessuna Honda e non c’è nessun compagno a  fare il cowboy in motocicletta. Mario Moretti. Brigate rosse una  storia italiana (Milano, Anabasi, 1994) pag.124
                
                E’ a questo punto che nasce il mistero della moto Honda. 
                La presenza della moto, certificata da una sentenza ma decisamente  negata dai terroristi, diventa la madre di tutti i misteri, il  paradigma con il quale la parte complottistica che guarda al caso  Moro può affermare che molte sono le cose non dette dai brigatisti.
                Il povero Marini, suo malgrado, si ritrova così al centro di una  disputa che lo vede, da una parte come prova vivente delle bugie dei  terroristi:
                
                  Valerio Morucci e Mario Moretti hanno sempre negato che i due  motociclisti in sella alla Honda fossero delle Br. Se i due capi  brigatisti hanno detto il vero (e c’è da dubitarne), occorre  prendere atto che sulla scena dell’attentato, la mattina del 16  marzo in via Fani, non c’erano solo le Brigate rosse: parteciparono  all’azione, contribuendo alla sua riuscita, anche altre “entità”  rimaste sconosciute. Se invece Moretti e Morucci hanno mentito (e non  sarebbe una novità), lo hanno fatto per nascondere l’identità dei  due motociclisti, e soprattutto il ruolo che svolsero nel corso  dell’operazione. Flamigni Convergenze parallele pag 131
                
                dall’altra, per i brigatisti, è invece è il classico esempio  di come affidandosi alle affermazioni di testimoni oculari sottoposti  a forti emozioni, si possano creare presunti misteri del tutto  inesistenti. Valerio Morucci, in merito, arriva ad affermare: 
                
                  I testimoni oculari sono assolutamente inattendibili; ho detto più  volte che l'ingegner Marini andava arrestato per falsa testimonianza. CPI "stragi",  Audizione 22 del 18/06/1997
                
                Ma allora la fantomatica moto Honda è transitata in via Fani ed i  suoi occupanti hanno partecipato in modo attivo all'azione?
                Stranamente pur essendo uno dei punti più importanti e  controversi dell’azione di via Fani, sulla presenza “attiva”  della moto, per tanti anni, si è indagato ben poco. 
                La parte “dietrologica” dell’opinione pubblica, dando per  scontato il ruolo della moto, si è concentrata su l'identità dei  due passeggeri. Coloro che invece si basano su un’analisi puntuale  delle prove, hanno accettato forse troppo supinamente quanto  affermato nella sentenza del Moro Uno. Questa idea è ben descritta,  da Vladimiro Satta nella prefazione del libro di Armeni, “Questi  fantasmi”.
                
                  Armeni, [...] ha avuto la capacità di accorgersi di come un po'  tutti - me compreso, lo ammetto - finora abbiano preso per buona  l'idea che i due motociclisti fecero fuoco contro il teste, per il  semplice motivo che ciò è stabilito da una sentenza. Dopo tutto,  pensando all'enormità costituita dall'eccidio dei cinque componenti  della scorta di Moro e del sequestro dell'uomo politico, sembrava  trascurabile soffermarsi a verificare se davvero i proiettili dei  terroristi avessero sforacchiato il parabrezza dello scooter di un  passante oppure no. Vladimiro Satta in Gianremo Armeni, Questi  fantasmi, Tra le righe libri, Lucca 2015, prefazione pag. 15
                
                Negli ultimi anni invece, attraverso, prima, il citato libro di  Gianremo Armeni  Questi fantasmi. Il primo mistero del caso Moro”,  e successivamente a seguito delle risultanze delle indagini svolte  dalla nuova commissione di inchiesta parlamentare sul caso Moro, si è  tornati ad esaminare le deposizioni di Alessandro Marini riguardo la  “ormai mitica moto Honda” . Ed i risultati sono stati a dir poco  sorprendenti
              Quanti testimoni vedono la moto Honda?
                Secondo quanto ricostruito da Armeni, nel citato Questi Fantasmi", sono ben 21 le persone che  assistono, almeno in parte, all’attacco brigatista in Via Fani.  Come detto, solo due: Marini ed Intravedo notano l’Honda. Quindi  nelle deposizioni di ben 19 testimoni, del passaggio della moto non  c’è traccia.
                In molte pubblicazioni, si è cercato di aumentare il numero di  testimoni che vedono la moto, inserendo oltre che Marini ed  Intravedo, un terzo teste, Luca Moschini:
                
                  Verso lo ore 9,05 di oggi, percorrevo Via Stresa proveniente da  Via della Camiìluccia a bordo della mia autovettura Fiat 500 giunto  allo stop fra Via Stresa e Via Mario Fani, notavo di fronte al bar  Olivetti angolo Via Stresa due avieri con il cappotto ed il berretto  in capo che erano fermi sul marciapiede con accanto una moto  Giapponese di colore bordò metallizzato mi sembra che sia una Honda  o 125 oppure 350, Testimonianza di Luca Moschini, 17/03/1978, CPM1,  vol. 30, pag. 7 
                
                Come è facile notare la testimonianza di Moschini si riferisce ad  un contesto totalmente diverso rispetto al momento dell’agguato. Il  teste infatti transita in via Fani ben prima dell’attacco  brigatista tanto che nella sua deposizione non c’è nessuna  descrizione dell’agguato. Inoltre, particolare non irrilevante, la  moto è di colore “bordò” e non blu come sostiene Marini.  Pertanto la sua deposizione è assolutamente irrilevante riguardo la  presenza della Honda in Via Fani nel momento dell'agguato. Si può  ribadire, pertanto che ha vedere la moto in azione sono solo Marini  ed Intravedo. 
                La reazione davanti ad un episodio così violento che, bisogna  ricordare, lascia cinque uomini crivellati di colpi in un lago di  sangue, sono gli stessi testi a dircelo. Marini afferma “io ero  accucciato sul motorino. Mi feci anche la pipi addosso” Intrevado  non solo dichiara “Mentre io ancora stravolto uscivo dalla  macchina….” ma rimane talmente scioccato da fuggire da via Fani. 
                Da notare che Intrevado nei 19 giorni che passano tra il 16 marzo  ed il 5 aprile, giorno del suo primo interrogatorio, avrà più volte  letto della presenza della moto Honda nel commando e del mitra in  mano ai terroristi, ed è possibile che queste informazioni abbiano  influenzato i suoi ricordi.
                Due sole testimonianze, rese da persone stravolte che bisogna  notare, a parte la presenza della moto Honda, sono sostanzialmente  differenti. Per Marini il mitra è ben in vista tanto che esplode  alcuni colpi nella sua direzione. Per Intravado il mitra è invece  nascosto, infatti lui vede solo che “dall’ascella del trasportato  fuoriusciva un caricatore di mitra”              
                L'attendibilità del teste Marini
                Contraddizioni sono presenti anche nelle molteplici dichiarazioni  di Marini. Come abbiamo visto, il teste dichiara che uno dei due  passeggeri a bordo della moto Honda indossa un passamontagna mentre  l’altro ha un’accentuata rassomiglianza con “Eduardo de  Filippo. 
                Nel corso del 1978 Marini viene ascoltato in diverse occasioni ed  ogni volta cambia versione: (1) . 
                  
                
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il 16 Marzo “Eduardo” è al posto di guida, l’uomo  	con il passamontagna è dietro. 
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il 5 Aprile, “Eduardo” è passato dietro, chi guida la  	moto è l’uomo con il passamontagna.
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il 5 giugno “Eduardo” torna davanti, 
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il 29 settembre ripassa sul sedile posteriore.
                 
Ma c’è anche un altro elemento che rende “particolare” la  deposizione del Marini. All’angolo tra via Stresa e via Fani,  secondo diversi testimoni, c’è una donna (Barbara Balzerani) che  imbraccia un fucile ed intima più volte alle persone di  allontanarsi. Questa brigatista è nella parte bassa dell’incrocio,  a pochi metri dallo stop, e quindi vicinissima a Marini. 
                Ebbene nella deposizione di Marini di lei non c’è traccia. In  compenso, riesce a seguire perfettamente ciò che succede ad oltre 20  metri di distanza da lui, malgrado la sua visuale sia impedita dai  quattro uomini del commando impegnati a sparare sull'auto di Moro. 
                
                  Nel contempo dalla terza macchina é disceso dalla parte  posteriore destra un individuo giovane, con in mano una pistola.  Credo che si accingeva a sparare o comunque ad agire ma  improvvisamente é stato freddato dai colpi di mitra esplosi da altri  due individui che sono sbucati fra due autovetture parcheggiate circa  10 -15 metri oltre i quattro individui, dal lato opposto a quello  dove si trovavano le tre autovetture Testimonianza di Alessandro  Marini, 17/03/1978, CPM1, vol. 30, pag.45 
                
                Decisamente singolare che un testimone ignori un terrorista armato  di mitra a pochi metri da lui che, in teoria, dovrebbe rappresentare  il pericolo maggiore, per concentrare la propria attenzione su  un’azione che si svolge nella parte alta di via Fani quindi  assolutamente indifferente per la sua incolumità.
                
                Il punto di vista di Marini secondo la ricostruzione della polizia  scientifica. Il riquadro relativo alla posizione di Barbara  Balzerani, da noi aggiunto, non è presente nel disegno originale  della Polizia scientifica in  quanto la terrorista non è citata dal teste. Marini, quindi non vede la Balzerani, che è a pochi metri, ma riesce   a seguire l'azione dei due brigatisti che sono posizionati all'altezza delle  macchine rossa e verde che si intravedono sullo sfondo
               
                La nuova perizia balistica
                Come più volte citato, la nuova commissione Moro ha richiesto  alla polizia scientifica una nuova indagine tecnica sulle traiettorie  dei colpi sparati nell’agguato di via Fani.
                Chiaramente non poteva mancare un accenno alla moto Honda. Nella  relazione infatti non c’è traccia dei colpi sparati dal suo  occupante. Durante l’audizione della seconda commissione Moro, il  Dott. Boffi, della polizia scientifica rispondendo alle domande dei  commissari ha affermato:
                
                  Se posso rispondere, chiaramente noi abbiamo messo tutto ciò di  cui abbiamo evidenza. La moto può essere passata, ma non ha lasciato  per noi tracce evidenti. Per noi, per la ricostruzione della  dinamica, è impossibile posizionare questa motocicletta. Rispetto  alle traiettorie che abbiamo determinato non c’è alcuna  traiettoria che potrebbe essere compatibile con dei colpi esplosi  veicolo in movimento rispetto alle posizioni che abbiamo già  identificato.
                
                e ancora:
                
                  Se la moto, come sembra, anzi come è, si muoveva in direzione di  via Stresa venendo da via del Forte Trionfale, l'espulsione dei  bossoli a destra li avrebbe dovuti mandare verso le autovetture  ferme, se dalla moto avessero sparato in direzione di Marini. In  realtà, abbiamo visto come i bossoli sono distribuiti. Appartengono  a queste sei armi. Innanzitutto, se un'arma è stata utilizzata sulla  moto, doveva essere una di queste sei, perché non ci sono bossoli  estranei e comunque la distribuzione di questi bossoli è compatibile  con queste posizioni.
                
                Quindi si può concludere che il nuovo studio della polizia  scientifica afferma che in via Fani non è stato trovato nessun  bossolo compatibile con la posizione della Moto e non è stata  individuata nessuna traiettoria di eventuali colpi esplosi dalla  Honda in direzione del Marini.
              Il parabrezza ed i colpi di mitra 
                Se le deposizioni di Marini vacillano, se non c’è alcuna prova  scientifica dei colpi esplosi, a dimostrare la presenza della moto in  via Fani, e soprattutto a provare che dei colpi sono stati sparati  dai suoi occupanti nei confronti di Marini, ci sarebbe però una  prova tangibile: il parabrezza del motorino fatto a pezzi dai colpi  di mitra. 
                Seguiamo un attimo la storia del parabrezza. Nella prima  testimonianza Marini non lo cita affatto si limita infatti ad  affermare che il passeggero dell’Honda “col passamontagna scuro  ha esploso vari colpi di mitra nella mia direzione, praticamente ad  altezza d’uomo” Solo nella deposizione del 5 Aprile Marini  precisa che l’uomo “sparò nella mia direzione tanto che un  proiettile colpi il parabrezza del mio motorino” 
                La versione di Marini, come detto, viene fatta propria prima dalle  forze dell’ordine e poi dai giudici che lo ribadiscono nella  sentenza di primo grado.
                Da quel momento ad ogni negazione brigatista c’è la risposta  “...è allora chi ha colpito il parabrezza di Marini?”
                Conferme in merito sono venute, successivamente, anche da fonti  istituzionali. Nel 1994 nella relazione sugli sviluppi sul caso Moro  della Commissione parlamentare “Stragi” l’onorevole Granelli  scrive:
                
                  Tanto più che la perizia ha anche stabilito un'ulteriore  circostanza, sempre negata da Morucci e da altri brigatisti  pentiti: il parabrezza del motorino di Alessandro Marini, [...] è  risultato effettivamente infranto da un proiettile. In G. Armeni,  Questi fantasmi, op.cit., pag 133 
                
                Nel 2008, perfino il giudice Ferdinando Imposimato, uno dei  magistrati più famosi del caso Moro, che insieme al collega Rosario  Priore raccolse le dichiarazioni di Adriana Faranda e Valerio  Morucci, nel suo libro “Doveva morire” dichiara di non avere  dubbi sulla presenza dei colpi di mitra sul parabrezza di Marini:
                
                  Ero e sono certo della presenza di altri due brigatisti in  moto, […] Il teste Marini è affidabile e i buchi dei proiettili sul  parabrezza del suo motorino erano visibilissimi. F. Imposimato, S.  Provvisionato, Doveva Morire, Chiarelettere Milano 2008 pag. 57.
                
                La presenza dei colpi di mitra sul parabrezza sembrerebbe quindi,  un fatto accertato definitivamente. Ebbene non è così, anche questa  ultima certezza sembra destinata ad essere smentita. 
                Riguardo, infatti, l’affermazione dell'Onorevole Granelli  relativa ad una perizia effettuata sul parabrezza del motorino di  Marini, Gianremo Armeni nel suo libro “Questi fantasmi”, dopo una  ricerca capillare, afferma che nessuna perizia del caso Moro parla  del parabrezza di Marini e che quindi esso non è stato mai  analizzato. 
                Ma la scoperta più interessante, non si sa quanto voluta (2), l’ha  fatta la seconda commissione sul caso Moro.
                La commissione infatti, alla ricerca di nuovi elementi per trovare  “verità alternative”, è venuta in possesso di una foto scattata  in via Fani la mattina dell’agguato in cui è presente un motorino  blu con il parabrezza su cui è posto trasversalmente un nastro  adesivo da pacchi. In tale motorino si è identificato quello del  Marini. 
                
                La foto in cui compare il motorino che lo stesso Marini riconosce  come il suo. E' evidente che il parabrezza non presenta colpi di arma  da fuoco e risulti completo
                La commissione ha quindi sottoposto la foto a Marini: 
                
                  Marini, osservando le fotografie, ha riconosciuto senza esitare il  proprio motoveicolo e ha affermato che sicuramente lo scotch era  stato applicato da lui prima del 16 marzo 1978, come aveva             già  affermato in occasione di dichiarazioni rese il 17 maggio 1994  dinanzi al pubblico ministero Antonio Marini. Alessandro Marini ha  aggiunto di ricordare che il 16 marzo, di ritorno dalla Questura dove  era stato portato per rendere dichiarazioni, nel riprendere il  motociclo si era accorto che mancava il pezzo superiore del  parabrezza che era tenuto dallo scotch e di aver perciò ritenuto che  fosse stato colpito da proiettili: “Per il fatto che quel giorno  l’ho trovato senza un pezzo di parabrezza, io ho ritenuto che fosse  stato colpito dalla raffica esplosa nella mia direzione dalla moto  che seguiva l’auto dove era stato caricato l’onorevole Moro. Non  ho ricordo della frantumazione del parabrezza durante la raffica;  evidentemente quando poi ho ripreso il motorino e poiché mancava un  pezzo di parabrezza ho collegato tale circostanza al ricordo della  raffica. Tali considerazioni le faccio solo ora e non le ho fatte in  passato perché non avevo mai avuto modo di vedere le immagini  fotografiche mostratemi oggi, da cui si nota che il parabrezza appare  nella sua completezza, seppur con lo scotch.
                
                A questo punto cade un altro pilastro della dichiarazione di  Marini nessun proiettile ha colpito il suo motorino e il parabrezza  non è andato in frantumi.
              Un testimone fantasioso
                La dichiarazione di Marini spiega anche perché nella  testimonianza del 17 marzo non c’è traccia dei colpi sul  parabrezza che appaiono solo il 5 aprile dopo che ha avuto modo di  vedere il parabrezza senza un pezzo. 
                Sappiamo ora, per sua stessa ammissione, che Marini è un teste  che non si limita a riferire quanto visto ma rielabora (seppur  inconsciamente) la realtà secondo le evidenze osservate  successivamente. 
                A confermare questa tendenza esiste anche  un'altra  circostanza. Marini afferma che un caricatore è caduto dalla moto in  corsa. Effettivamente in via Fani è stato ritrovato a terra un  caricatore, ma è stato accertato che, detto caricatore, appartiene  all’M12 di uno dei quattro componenti al gruppo di fuoco, Raffaele  Fiore, che ha confermato la circostanza. 
                Anche in questo caso, probabilmente Marini, rielabora la visione  successiva del caricatore sull’asfalto di Via Fani, e lo fa cadere  dalla moto in corsa. (3)
                Al termine di questa lunga disquisizione, si può affermare che  molti sono i dubbi sulla partecipazione attiva di una moto Honda  all’azione di via Fani. In mancanza di altri riscontri le sole  affermazioni di un testimone che si è rivelato del tutto particolare  non bastano ad avvalorare una circostanza. sempre smentita dai  partecipanti all’agguato.
                Note:
                 (1) L'analisi puntuale delle testimonianze di Marini è fatta da Gianremo Armeni nel suo libro Questi Fantasmi, op. cit, alle pagine 114 e sgg.