
Sabato 18 marzo 1978
Nella basilica di San Lorenzo fuori le mura si svolgono i funerali degli uomi della scorta di Aldo Moro trucidati nell'agguato di via Fani.
Con una telefonata anonima al "Il Messaggero" vien fatto recapitare il comunicato n°1 delle brigate rosse. I brigatisti, dopo aver definito gli uomini della scorta "teste di cuoio di Cossiga", annunciano che Moro sarà sottoposto ad un processo proletario. Allegata al comunicato c'è la prima foto di Moro dalla prigionia.
In serata a Milano vengono uccisi due giovani dell'estrema sinistra Fausto Tinelli e "Iaio" Ianucci
La mancata perquisizione di via Gradoli
Via Gradoli è una strada della
periferia a nord di Roma. Una traversa della Via Cassia, con una strana
conformazione ad anello. Al numero 96 c'è un palazzo formato da mini
appartamenti, dove gli inquilini sono di passaggio e difficilmente si
conoscono tra loro,
Sembra il luogo ideale per
attrezzare una base brigatista, ed infatti, appena scese a Roma le Br
acquistano un appartamento al secondo piano dello stabile, per la
precisione all'interno 11.
La base nel 1978 è ritenuta
una delle più sicure, In quel covo, nel corso degli anni, passa tutto
lo stato maggiore delle Br. Franco Bonisoli, Valerio Morucci, Adriana
Faranda.
Durante il periodo del
rapimento Moro, nella base abitano Mario Moretti e Barbara Balzerani.
Ed è da quell’appartamento che il sedici mattina all’alba, escono per
recarsi Via Fani.
Ma solo due giorni dopo il rapimento, Via Gradoli, compare per la prima volta, nella vicenda Moro.
Di primo mattino un gruppo di 5 agenti del commissariato Flaminio procedono al controllo della stabile al civico 96
Poliziotti in Via Gradoli
Incaricato dell’operazione è
il brigadiere Domenico Merola, che si limita ad identificare gli
abitanti dello stabile, chiedendo informazioni su gli inquilini degli
appartamenti chiusi.
Nella casa accanto al covo
brigatista, all'interno 9, abita la signora Lucia Mockbel, che dopo
essere stata identificata ed aver fornito informazioni generiche sugli
abitanti dell'interno 11, segnala ai poliziotti un fatto strano. Nella
notte ha sentito provenire dalla finestra dei rumori “particolari”: un
ticchettio, che lei identifica in segnali Morse. Aiutata dai poliziotti
compila anche un bigliettino che prega di recapitare al dottor Cioppa
funzionario del commissariato Flaminio e suo conoscente.
Quando esattamente un mese
dopo, a seguito della famosa perdita d'acqua, verrà scoperta la base
delle Br, si chiederà conto al Brigadiere Merola della mancata
perquisizione dell'interno 11. Ad aggravare la sua situazione si
aggiunge la scomparsa di ogni traccia del biglietto, che la Mockbel
sostiene di aver consegnato alle forze dell'ordine.
Ce n'è abbastanza per far
entrare il covo di Via Gradoli nell'elenco dei misteri del caso Moro,
Ma, come si sa, siamo solo all'inizio: Via Gradoli ci riserverà ben
altre sorprese.
Il comunicato BR
Valerio Morucci e Adriana
Faranda, i postini delle Br, dalla sera precedente non riescono a darsi
una spiegazione sulla mancata notizia relativa al ritrovamento del
primo comunicato delle BR. Si aspettavano edizioni speciali dei
telegiornali, con l’immagine sparata a tutto schermo del presidente
della DC sovrastato dalla stella a 5 punte delle BR ed invece tutto
tace. Anche il Messaggero, giornale a cui hanno telefonato per
comunicare dove è il comunicato non riporta nessuna notizia.
In mattinata raggiungono Largo
Argentina e con la massima attenzione scendono nel sottopassaggio.
Sanno che è estremamente rischioso tornare sul luogo dove meno di 24
ore prima hanno depositato messaggio e foto, ma devono rendersi conto
del motivo del silenzio di tutta la stampa. Con la tensione al massimo
sbirciano sopra la macchina delle fotocopie: la busta arancione è
ancora li. Lo sconcerto aumenta!
Poco dopo mezzogiorno, da una
cabina pubblica, Morucci telefona al centralino del Messaggero e chiede
di Ezio Pasero. Pasero è l’autore dell’articolo pubblicato il giorno
prima dal titolo “Cento rivendicazioni ma nessuna convince” in cui si
afferma che ancora non è giunto nessun messaggio convincente da parte
delle Br.
Quando il giornalista risponde
alla chiamata sente dall’altra parte della cornetta una voce con un
leggero accento romanesco che si qualifica: «Sono le Brigate Rosse»
«Ed io sono Buffalo Bill! Chi sei veramente?»
«Figurarsi se ti dico anche il mio nome…piuttosto perché hai scritto che non ci sono messaggi?»
«Perché non è arrivato nessun volantino.»
«Non è vero ieri vi abbiamo
avvertito di andarlo a prendere a Largo Argentina. C’è forse il
blackout di Cossiga, il Ministro degli Interni vuol far sapere le cose
solo quando sono concluse?»
«A Largo Argentina ci siamo andati ma non abbiamo trovato nulla.»
«Si vede che avevate i telefoni sotto controllo e che la polizia è arrivata prima di voi.»
«Allora fatecene avere un altro.»
«Il messaggio è ancora lì, nel
sottopassaggio tra Largo Argentina e Via Arenula, sul tetto della
macchina delle fotocopie, sotto un mucchio di cartacce c’è una busta
gialla di tipo commerciale. C’è anche una foto di Moro.»
Le indicazioni questa volta
sono precise e il giornalista Maurizio Salticchioli trova
immediatamente la busta arancione. Sono da poco passate le dodici e
trenta quando il direttore del Messaggero, telefona a Zaccagnini. Il
segretario della Democrazia Cristiana è nel suo studio di Piazza del
Gesù. Alla notizia della foto di Moro, Zaccagnini, non riesce a
trattenere la commozione. «Mi dica solo che volto ha…se ha dei segni in
faccia?» Un filo di speranza sembra affacciarsi nell’animo del
segretario Dc: «Almeno è vivo. Iddio sia lodato, Iddio sia
lodato… speriamo in bene... grazie, grazie.» Quando riattacca gli occhi
di Zaccagnini sono pieni di lacrime. Dopo pochi minuti lascia piazza
del Gesù per recarsi a casa della famiglia Moro per portare personalmente
questa piccola nota di speranza
Il comunicato n°1
Nella busta fatta ritrovare dalle BR
c’è il primo messaggio delle BR e una foto Polaroid
Nella fotografia Aldo Moro
indossa una camicia bianca, il colletto slacciato lascia intravedere la
maglietta della salute. Alle sue spalle su un drappo scuro appoggiato
alla parete incombe minacciosa la stella a cinque punte delle “Brigate
Rosse”. Sul volto, ripreso in primo piano non c’è nessun segno di
paura. In quegli occhi tristi che fissano l’obiettivo si legge, invece,
lo smarrimento e la consapevolezza che, quella che ha di fronte, è la
prova più difficile che il destino poteva riservargli.
Il comunicato n° 1 è formato da due
paginette fitte, fitte battute a macchina in cui si cercano di spiegare
i motivi dell’azione brigatista
L’apertura, dopo aver
ricordato l'eliminazione degli uomini della scorta, ovvero le "teste di
cuoio di Cossiga", è dedicata al prigioniero catturato e rinchiuso
nella prigione del popolo.
Chi è Aldo Moro, è presto detto: dopo il suo degno compare De Gaperi è
stato fino ad oggi il gerarca più autorevole, il “teorico” e lo
“stratega” indiscusso di quel regime democristiano che da 30 anni
opprime il popolo italiano. Ogni tappa che ha scandito la
controrivoluzione imperialista di cui la DC è stata artefice nel nostro
paese, dalle politiche sanguinarie degli anni 50, alla svolta del
centro sinistra, fino ai giorni nostri con l’accordo a sei ha avuto in
Aldo Moro il padrino politico e l’esecutore più fedele delle direttive
impartite dalle centrali imperialiste. Comunicato n°1 delle brigate rosse Il testo integrale del comunicato n° 1
Dalla metà degli anni settanta
nelle fabbriche sono in atto ristrutturazioni che riorganizzando la
produzione erodono sempre più le conquiste ottenute dalle lotte degli
anni 1968/70.
Le Br hanno identificato questo attacco alla classe operaia con il cosidetto SIM.
La trasformazione nell’area europea dei superati Stati-nazione di
stampo liberale in Stati Imperialisti delle Multinazionali (SIM) è un
processo in pieno svolgimento. Il SIM ristrutturandosi si predispone a
svolgere il ruolo di cinghia di trasmissione degli interessi
economici-strategici globali dell’imperialismo, e nello stesso tempo ad
essere organizzazione della controrivoluzione preventiva rivolta ad
annichilire ogni “velleità” rivoluzionaria del proletariato. Ibid
Se il SIM è
un entità astratta, una specie di Leviatano che incombe sui lavoratori
di tutto il mondo, in Italia la lotta delle avanguardie rivoluzionarie
va indirizzata su un obbiettivo concreto, ovvero, contro il maggior
partito di governo: la Democrazia Cristiana.
La DC è la forza centrale e strategica della gestione imperialista
dello Stato. Nel quadro dell’unità strategica degli Stati Imperialisti,
le maggiori potenze che stanno alla testa della catena gerarchica
richiedono alla DC di funzionare da polo politico nazionale della
controrivoluzione ... Questo regime, questo partito sono oggi la
filiale nazionale, lugubremente efficiente, della più grande
multinazionale del crimine che l’umanità abbia conosciuto. Ibid
Il rapimento di Aldo Moro va
inquadrato quindi come un momento della lotta senza quartiere che il
“Movimento di Resistenza Proletario Offensivo” ha lanciato al SIM e
alla DC in particolare.
Con il processo di un Tribunale del popolo al quale verrà sottoposto
Aldo Moro non intendiamo “chiudere la partita nè tanto meno sbandierare
un simbolo ma sviluppare una parola d’ordine su cui tutto il Movimento
di Resistenza Offensivo si sta già misurando, renderlo più forte, più
maturo, più incisivo ed organizzato. Ibid
Il comunicato dopo aver
ricordato i brigatisti processati a Torino: “ostaggi nelle mani del
nemico” dichiara che tutto ciò che riguarda il processo ad Aldo Moro
sarà sempre trattato pubblicamente. Infine un’indicazione agli
inquirenti per riconoscere i futuri messaggi: "tutti i comunicati
verranno battuti con la stessa macchina da scrivere".
I funerali degli uomini della scorta
E’ in un sabato pomeriggio
senza sole che Roma rende omaggio alle cinque vittime della strage di
via Fani. Non ci sono novità nel mesto cerimoniale delle esequie agli
agenti uccisi. Tutto è stato già visto. Le bare con il tricolore, il
dolore dei parenti, le facce sgomente dei politici, la commozione della
folla. Tutto ogni volta uguale come ai funerali per piazza Fontana,
piazza della Loggia, l’Italicus e poi Calabresi, Coco, Casalegno,
Occorsio, Palma e tanti, tanti altri: troppi! Un incantesimo malefico
che non si riesce ad interrompere, una striscia di sangue che lascia
dolore e rabbia.
Dentro le cinque bare,
allineate sul pavimento della basilica di San Lorenzo fuori le mura, ci
sono i corpi delle ultime vittime. Persone semplici che hanno scelto un
lavoro difficile per guadagnarsi da vivere. Oscuri difensori dello
Stato che rischiano la vita in cambio di uno stipendio più che modesto.
I loro nomi, sconosciuti come quelli di migliaia di altri, sono
diventati improvvisamente famosi all'incrocio tra via Fani e via
Stresa.
Nella Basilica di San Lorenzo fuori le mura si svolgono i funerali dei cinque uomini della scorta di Moro trucidati in via Fani
Oreste Leonardi, era da oltre
dieci anni al seguito di Moro. Nonostante non avesse la qualifica di
caposcorta, era è lui che organizzava la protezione intorno ad Aldo
Moro. Leonardi,
giovedì,ha salutato la moglie ed è uscito dal grande palazzone di Via
Musco nel popolare quartiere della Montagnola., per affrontare una
nuova giornata di lavoro A piangerlo, adesso, ci sono la moglie Ileana,
e la figlia Cinzia, una bella ragazza di 17 anni che, ad un tratto, si
divincola dalle mani affettuose di due ufficiali dei carabinieri e si
getta sulla bara: singhiozza, grida e la sua disperazione riempie la
grande chiesa.
Gli uomini della scorta di Moro
uccisi in Via Fani. Da sinistra: Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino,
Francesco Zizzi, Giulio Rivera, Domenico Ricci
Poco distante, la mamma di
Francesco Zizzi, il caposcorta, continua a ripetere sottovoce: «Franco,
Franco dimmi qualche cosa. Mi hai chiesto tante volte di aiutarti e io
sono qui. La pallottola che ti ha ucciso ha ucciso anche me.» Zizzi era
al suo primo giorno di servizio al seguito di Moro. Sarebbe bastato che
le Br avessero anticipato di un giorno l’agguato ed adesso sarebbe tra
la folla a piangere un collega. Ma il destino colpisce a caso. Lo sanno
bene gli uomini della seconda scorta che da giovedì mattina si sentono
dei miracolati e continuano a ripetere, quasi vergognandosi dello
scampato pericolo, : «Potevamo esserci noi».
La moglie di Domenico Ricci,
l’autista che da oltre vent’anni era al servizio di Moro, stringe a se
i due figli: Gianni e Paolo di dodici e dieci anni, e piange
sommessamente: «L’hai visto amore il babbino tuo? Ci ha abbandonato
tutti e tre. Era buono pensava al servizio. babino nostro non c’è più».
Giulio Rivera e Raffaele
Jozzino erano due dei tanti ragazzi del meridione per cui
l’arruolamento in polizia è quasi una scelta obbligata per fuggire alla
disoccupazione e sperare in un futuro migliore. Rivera, ventiquattro
anni, nato a Guglionisi in provincia di Campobasso, era appena
ritornato da una licenza: ottenuta per accompagnare in ospedale il
padre che deve sottoporsi ad un delicato intervento chirurgico. E
adesso il padre e lì, nei primi banchi della chiesa e guarda impietrito
la bara con dentro il suo Giuliano. Alla notizia dell’agguato ha
lasciato, l’ospedale e, contro il parere dei medici, è corso a Roma.

Accanto all’ultima bara,
seduta su una sedia di paglia, c’è la mamma di Raffaele Jozzino:
nessuno è riuscito a farla accomodare nel banco riservato ai parenti «Il mio posto è accanto a Raffaele» ripete ostinata».
Dietro il primo banco
riservato al dolore dei parenti c’è la folta rappresentanza politica.
Tanti i volti segnati dallo sgomento: Pertini, La Malfa, Berlinguer,
Leone, Zaccagnini Cossiga e tanti, altri in rappresentanza di uno Stato
che non riesce a fermare il massacro.
Alla fine della funzione,
quando le bare varcano il portone della basilica e appaiono alla folla
assiepata sul piazzale del Verano si alza un lungo intenso applauso.
Tra la gente c’è commozione,
sgomento e rabbia. Negli stessi istanti cominciano a circolare le prime copie delle edizioni
speciali dei giornali con la foto di Moro e il comunicato numero 1
delle B R in cui si afferma: “la scorta armata composta da cinque
agenti dei famigerati corpi speciali è stata completamente annientata”.
Nell’incommensurabile distanza
tra il dolore provocato da quei cinque morti e la fredda rivendicazione
brigatista c’è già tutta l’inevitabile sconfitta dalle lotta armata.
Fausto e Iaio: morire a diciotto anni
Milano, sabato
sera, Sono da poco passate le otto, due ragazzi: Fausto Tinelli e
Lorenzo Iannucci, da tutti conosciuto come Iaio, percorrono Via
Mancinelli, una strada poco illuminata nel popolare quartiere del
Casoretto.
A metà strada sono bloccati da
tre giovani che procedono in senso inverso. La strada è deserta. Uno
dei giovani che indossa un impermeabile chiaro con il bavero alzato,
forse chiede qualcosa.
Fausto Tinelli e Lorenzo "Iaio" Iannucci.
Fausto e Lorenzo non hanno il
tempo di rispondere, nell’aria si sentono delle esplosioni. Sono gli
otto colpi di una pistola Winchester 7,65. Fausto è colpito da cinque
proiettili all’addome, al torace e al braccio destro, e si accascia su
se stesso in mezzo alla strada. Lorenzo tenta una fuga disperata ma
anche lui, centrato dai colpi sparati con perizia professionale, crolla
sul marciapiede.
I primi soccorritori hanno
davanti una scena tremenda. I due giovani sono riversi a terra in un
lago di sangue. Fausto, respira ancora ed è caricato su un'auto per una
disperata quanto inutile corsa verso l'ospedale. Per Iaio non c'è
niente da fare. resta li sull'asfalto.
In pochi minuti la via è un
brulicare di persone che osservano attonite quel telo bianco che
pietosamente copre il corpo di Iaio. Gli abitanti del quartiere sono
tutti lì. Nessuno riesce a dare una spiegazione a questo nuovo
assassinio.
Non si sono ancora spente le
grida dei parenti dei cinque poliziotti uccisi in Via Fani ed ecco
altri pianti invadono questa strada della periferia milanese.
L’assurda morte di Fausto
Tinelli e Lorenzo Iannucci è come una sferzata che ridà voce al popolo
della sinistra extraparlamentare rimasto attonito dalla violenza
dell’eccidio di via Fani. Appena un’ora dopo l’assassinio dei due
ragazzi, Radio Popolare, sommersa dalle chiamate apre i microfoni alle
telefonate della gente. La tensione accumulata in quei giorni si
scioglie. E’ un fiume in piena: per tutta la notte si susseguono le
voci che esprimono dubbi, rabbia, dolore, che parlano di Fausto e Iaio,
che gridano che in Italia non si muore solo per mano delle Brigate
Rosse. Si parla anche di Moro, della strage dei cinque uomini della
scorta, della violenza assurda dei terroristi. Un grande dibattito che
coinvolge tutta quell’area che rivendica il proprio diritto di lottare
contro una società ingiusta senza per questo essere accomunata alle
Brigate Rosse.