
16 marzo 1978
Nella prigione del popolo
.
Poco dopo le dieci di mattina Aldo Moro entra nella prigione del popolo.
La cella, in cui è rinchiuso il presidente della Dc, è all'interno di un appartamento di via Montalcini 8. Una coppia di insospettabili formata da Anna Laura Braghetti e dal fantomatico Ing. Altobelli sono i proprietari.
Altri due brigatisti sono all'interno della casa: Mario Moretti la mente dell'operazione e Gallinari che per tutti i 55 giorni del rapimento non uscirà mai dall'appartamento
L'arrivo in via Montalcini
Sono da
poco passate le dieci
quando la Ami 8 guidata da Mario Moretti, con accanto Germano Maccari
entra nel garage dello stabile di via Montalcini 8. Nello spazioso
bagagliaio dell'auto è posta una cassa di legno nella quale in piazza
Madonna del Cenacolo i brigatisti hanno fatto entrare Aldo Moro.
Parcheggiata
l'auto nel box,
inizia il trasporto della cassa verso l'appartamento dell'interno uno.
A Moretti e Maccari si aggiunge Prospero Gallinari che ha raggiunto a
piedi via Montalcini. Malgrado si tratti di soli pochi metri,
l'operazione risulta tutt'altro che semplice: il peso di Moro, unito a
quello della cassa in legno che lo contiene, mette a dura prova i tre
brigatisti.
Giunti
all'interno
dell'appartamento la cassa viene depositata nello studio dove i
brigatisti hanno ricavato la “cella” dentro la quale Moro vivrà i 55
giorni del rapimento.
Braghetti
e Maccari escono
dalla stanza, Moretti e Gallinari, dopo aver indossato i passamontagna,
fanno uscire Moro dalla cassa. Il presidente della Dc è bendato.
Moro viene
quindi fatto
entrare nell'angusto spazio nascosto da una libreria mobile. Solo
quando è all'interno gli viene tolta la benda che ha su gli occhi.
«Presidente»,
sentii dire da Mario con estrema cortesia, «ha capito chi siamo?» «Ho
capito chi siete» rispose Moro.» Anna
Laura Braghetti: Il prigioniero (Milano, Mondadori, 1988) pag. 4
Moretti,
sempre protetto dal
passamontagna, porge a Moro degli abiti di ricambio e delle pantofole e
raccoglie i vestiti del presidente.
La porta della
“prigione del popolo”si chiude alle spalle
di Aldo Moro. L'operazione del
rapimento del presidente DC è conclusa.
La prigione del popolo: un lavoro lungo un anno
Sulla
costruzione della
“prigione del popolo” le Br lavorano da circa un anno. Nella primavera
del 1977 viene arruolata Anna Laura Braghetti. La Braghetti sembra la
persona ideale quale prestanome per l'acquisto di una casa. 24 anni non
ancora compiuti, un lavoro presso un'impresa edile dell'Eur, una
frequentazione del tutto marginale nell'ambito della sinistra
extraparlamentare, un solo “inciampo” con la giustizia, ma risalente a
sei anni prima, ovvero una denuncia, senza seguito, per violenza
privata, conseguenza di un picchetto davanti la scuola.
Fidanzata
con Bruno Seghetti,
un irregolare della colonna romana delle BR, è proprio lui a segnalare
ai vertici dell'organizzazione il nome della ragazza. Dopo i colloqui
di rito prima con Valerio Morucci e poi con Mario Moretti, la Braghetti
entra a far parte dell'organizzazione, ma non viene assegnata a nessuna
struttura, il suo compito è solo quello di trovare un appartamento,
intestarlo a proprio nome ed arredarlo.
Dopo
alcune ricerche la scelta
cade sull'appartamento di via Montalcini 8 interno 1. La casa ha,
infatti, tutti i requisiti richiesti: 120 metri quadri , due ingressi,
un box per parcheggiare la macchina, l'ascensore che collega il garage all'appartamento e soprattutto è situata in una
strada isolata dove non ci sono negozi e vetrine,
La casa
viene acquistata dalla
Braghetti per 45 milioni di lire, soldi provenienti dal rapimento
dell'armatore genovese Pietro Costa conclusosi il 3 aprile 1977.
Per
rendere insospettabili gli
abitanti della casa di via Montalcini, alla Braghetti bisogna
affiancare un convivente. La scelta cade su Germano Maccari, una
vecchia conoscenza di Morucci e Seghetti con i quali ha militato prima
in Potere Operaio e poi nei Lapp (Lotta Armata per il Potere
Proletario) Dopo lo scioglimento di quest'ultima organizzazione
avvenuta all'inizio del 1976, Maccari, di fatto, si allontana dalla
militanza politica. Soltanto all'inizio dell'estate del 1978 attraverso
Seghetti e Morucci entra a far parte delle BR. Il suo ingresso
nell'organizzazione avviene in gran segreto, come la Braghetti non
viene assegnato a nessuna struttura anche lui si dedicherà unicamente
al covo di via Montalcini.

Maccari
(nella foto a fianco)
è però conosciuto dalle forze di polizia, per la sua lunga militanza
nelle formazioni extra parlamentari, pertanto, gli viene assegnata una
falsa identità: in via Montalcini sarà l'ingegner Luigi Altobelli.(1)
Dall'estate
del 1977 Braghetti
e Maccari si dedicano ad arredare l'appartamento di Via Montalcini,
comprano i mobili, fanno mettere alle finestre inferiate di metallo e
tende di lino bianco
Quell'appartamento
dall'apparenza così borghese servirà invece a custodire il prigioniero
di un rapimento. È necessario quindi costruire, all'interno della casa,
una piccola stanza segreta dove tener segregato il rapito.
Ad aiutare
a costruire la
cella ci sono anche Mario Moretti membro dell'esecutivo delle BR e
mente di tutta l'operazione Moro e Prospero Gallinari fuggito dal
carcere di Treviso nel gennaio del 77.
In una
delle camere, arredata
a studio, viene innalzato un tramezzo con dei pannelli in cartongesso
così da ricavare un locale largo circa un metro e venti e lungo tre
metri e sessanta. Questo locale è diviso in due: la cella vera e
propria, lunga circa due metri e ottanta ed un piccolo ingresso
quadrato di circa un metro. Tra la cella e l'ingresso c'è una porta a
cui è stato applicato un “occhio magico” per poter controllare il
prigioniero
L'ingresso
ha un'altra porta
che immette nello studio. Questa porta alta poco più di un metro e
cinquanta è occultata dallo scaffale mobile di una libreria.
La cella
viene insonorizzata
con pannelli fonoassorbenti ed al suo interno vengono posti una rete
con il relativo materasso ed un bagno chimico. Sulla parete di fondo
incombe minacciosa una bandiera con la stella a cinque punte.
La
gestione della base è
affidata ai soli quattro brigatisti che conoscono l'esistenza
dall'appartamento di Via Montalcini ovvero: Braghetti, Maccari,
Gallinari e Moretti. Secondo quanto dichiarato dai terroristi, per
motivi d compartimentazione, nessun altro brigatista conosce
l'ubicazione della prigione del popolo.
Le prime ore del prigioniero
Mentre la
televisione
trasmette le immagini dell'agguato di via Fani, i brigatisti presenti
in via Montalcini proseguono nella loro azione. Per prima cosa si
controllano i vestiti e le borse di Moro alla ricerca di eventuali
microspie che possano indicare la posizione della prigione.
Il
contenuto delle borse si rivela del tutto deludente. (vedi
le borse di Moro)
Poi
qualcuno
posò sul tavolo le borse di Moro. Erano già state perquisite per
assicurarsi che non contenessero una microspia o qualunque altro
aggeggio che conducesse fino a noi. Nella prima trovammo alcune tesi di
laurea, due paia di occhiali di ricambio, francobolli, articoli di
cancelleria, poche medicine. Nella seconda pratiche ministeriali, il
testo di un progetto di riforma della polizia, lettere di
raccomandazione e di ringraziamento e, particolare che mi colpi
moltissimo, la sceneggiatura di un film. Eravamo esterrefatti: possibile
che fosse quello il materiale di lavoro di uno degli uomini più potenti
d'Italia. Ibid. pag.7
Gallinari
dall'occhio magico segue le prime ore della prigionia di Aldo Moro:
Prospero
era
stato in carcere, e sapeva che un prigioniero va tenuto d'occhio
costantemente, perché le prime ore di reclusione, quando lo shock si
attenua e la realtà si impone in tutto il suo orrore, sono le più
disperate, le più pericolose. Si piazzò fuori dalla porta della cella.
Dopo una mezz'ora venne ad avvertirci che Moro respirava a fatica, come
se gli mancasse l'aria. Probabilmente era una crisi di claustrofobia.
Quindi venne aperta la porta segreta dietro la libreria, spalancata la
porta della cella, e ci dicemmo che, se Moro non ce la faceva così, lo
avremmo bendato e portato in una stanza dove potesse respirare
liberamente. Dopo poco Prospero tornò ad avvertire che il prigioniero
stava meglio. Richiudemmo. Ibid.
La foto Polaroid
Poco dopo
Moretti, indossato
nuovamente il passamontagna, rientra nella cella in mano ha una
macchina fotografica Polaroid e scatta la famosa foto di Aldo Moro alle
cui spalle è la bandiera con la stella a 5 punte. Moretti ha un primo
colloquio con Moro in cui spiega che la foto verrà inviata ai giornali
e che è la dimostrazione che è ancora in vita. Servirà ad avviare quella
trattativa per la sua liberazione a cui tengono anche le BR.
Moro,
ripresosi dallo shock
dell'agguato, è particolarmente agitato: chiede con insistenza le
medicine che a suo dire gli sono indispensabili. Moretti lo rassicura
in merito ed esce dalla stanza.
Mentre
Moretti incomincia a
scrivere il comunicato n°1, la Braghetti prepara il pranzo per i cinque
componenti della casa. A Moro il vassoio con il cibo viene portato da
Gallinari, che per tutti i 55 giorni del rapimento curerà le necessità
fisiche del presidente DC.
Nel
pomeriggio la Braghetti
esce per comprare le medicine richieste da Moro, in particolare
ricorderà il Tavor, una benzodiazepina che serve per curare gli stati
d'ansia. L'acquisto avviene in una farmacia molto frequentata nei
pressi dell'ospedale Spallanzani
Nella casa
Gallinari continua ad osservare Moro. Steso sulla brandina, gli occhi
chiusi, sembra dormire.
Note:
(1)
La vera identità del fantomatico ingegner Altobelli rimarrà un mistero per 18 anni. Intorno alla sua figura si sono costruite le storie più fantasiose. Solo nel 1996, attraverso prove documentali e la confessione di Adriana Faranda, viene identificato in Germano Maccari. Imputato nel processo Moro Quinquies, dopo una prima fase in cui rifiuta decisamente ogni addebito, nella drammatica udienza del 19/6/1996, Maccari ammette di essere Luigi Altobelli ed aver partecipato al rapimento Moro.